La realizzazione del linguaggio dipende da un corretto sviluppo cognitivo, motorio e articolatorio degli organi dell’apparato fonatorio.

Quest’ultimo comprende un insieme di strutture anatomiche (come il palato, la lingua e i denti) che hanno bisogno di tempo per raggiungere il grado di sviluppo necessario per compiere e coordinare i movimenti necessari per la produzione dei suoni. 

Se questo sviluppo non dovesse avvenire correttamente, possono insorgere difficoltà e/o disturbi nell’area linguistica-comunicativa.

Quando si pronuncia una parola, prima di arrivare all’obiettivo finale, si mettono in atto, in modo automatico, una serie di competenze cognitive: nelle persone con disprassia verbale, questi movimenti non sono né automatici né semplici.

In questo articolo, ci soffermeremo sulla disprassia verbale, ovvero la difficoltà nella produzione, articolazione e coarticolazione di una parola.

 

Cos’è la disprassia verbale

Prima di parlare di disprassia, è corretto chiarire innanzitutto cosa si intende con il termine prassia: “è una funzione cognitiva adattiva che si sviluppa attraverso l’interazione e l’integrazione di più sistemi: cognitivo e metacognitivo, socio ambientale, emotivo, percettivo, motorio” (Sabbadini G., 1995) 

Partendo da questa definizione, è possibile determinare la disprassia come una difficoltà nell’esecuzione di un atto motorio deputato al raggiungimento di un obiettivo preciso.

Quindi, azioni che possono sembrare semplici, come ad esempio allacciarsi le scarpe o parlare, per un soggetto disprattico risultano difficili e complesse.

La Disprassia Verbale Evolutiva (DVD) rientra nei disordini della sfera comunicativo-linguistica ed è una condizione neurologica presente nel 4,3% della popolazione (coinvolgendo tre volte di più i maschi rispetto alle femmine).

La definizione di questo disturbo è ancora controversa, nonostante il primo caso sia stato descritto più di un secolo fa (Hadden, 1891).

Il termine che maggiormente viene usato nella clinica a livello internazionale è “Disturbo dello sviluppo della coordinazione” (Developmental Coordination Disorder, DCD), inteso in relazione a difficoltà di coordinazione generale del movimento, che include anche il termine disprassia (DSM-IV, ICD-10)

È, ancora, molto dibattuta l’eziologia e poco definiti i criteri diagnostici: solo recentemente, anche a livello internazionale, viene ribadita l’importanza di definire delle linee guida per la diagnosi e stabilire quali indicatori possono essere considerati validi per una diagnosi differenziale (Royal College of Speech and Language Therapists, 2011). 

Attualmente, i termini più utilizzati sono:

  • developmental verbal dyspraxia (DVD);
  • developmental apraxia of speech (DAS); 
  • childhood apraxia of speech (CAS). 

L’età in cui solitamente viene diagnosticata è tra i 3 ai 15 anni, tuttavia non sempre viene individuata – dunque, la sua presenza nell’età evolutiva potrebbe essere maggiore (anche perché molto spesso la disprassia può manifestarsi insieme ad altre patologie).

 

Quali sono le caratteristiche di un soggetto con disturbo prassico?

Rifacendosi agli studi in letteratura, si possono individuare delle cadute cliniche specifiche:

  • deficit del controllo volontario dei movimenti articolatori, (Robin, 1992; Groenen et al., 1996; Hall et al., 2007);
  • deficit dell’apparato fonatorio;
  • disordine della pianificazione e programmazione motoria (Nijland et al., 2003; Peter e Stoel-Gammon, 2005);
  • difficoltà nella sequenza degli schemi motori necessari per attuare un movimento.

Il bambino con disprassia verbale può essere in grado di produrre correttamente fonemi isolati, ma non riuscire a dire correttamente sillabe e /o parole.

Molto spesso il linguaggio è caratterizzato da errori di semplificazione o ripetizioni ed esitazioni. Si deve tener presente che i soggetti con tale caduta spesso sono consapevoli delle difficoltà e per tale ragione possono mettere in atto diverse strategie di evitamento oppure avere dei disturbi correlati.

Da alcuni studi si è notato una difficoltà soprattutto nella produzione di vocali (Davis, 2003; ASHA), come ad esempio: 

  • assimilazioni vocaliche;
  • armonia vocalica;
  • difficoltà di produzione e riduzione dei dittonghi (Pollock e Hall, 1991; Hall et al., 2007.

La persona con disprassia verbale fa fatica a trovare il punto di articolazione corretto per questo potrebbe posizionare in modo errato i muscoli e l’apparato fono-articolatorio.

Per parlare adeguatamente bisogna far sì che i movimenti della lingua, delle guance e della mandibola siano in armonia e in sinergia, ma soprattutto che siano nella giusta posizione.

Per pronunciare il fonema “l”, ad esempio non è possibile mettere la punta della lingua in basso, altrimenti si produrrebbe un suono diverso ed errato; qualcosa di simile accade ai soggetti con questa patologia, la fatica e la frustrazione sono per questo molti presenti.

Risulta fondamentale, dunque, una diagnosi precoce e un intervento riabilitativo mirato ed efficace.

Come già accennato, molto spesso le caratteriste non riguardano solo il distretto oro-bucco-facciale: nel caso in cui il soggetto in questione presenti una disprassia verbale potrebbe presentare anche altre fragilità

  • difficoltà coordinazione, ridotto equilibrio, goffaggine, lentezza nell’eseguire l’azione;
  • difficoltà a mantenere l’attenzione, 
  • difficoltà nella gestione del tempo, e nella pianificazione,
  • bassa autostima; 
  • scarsa autonomia;
  • difficoltà nella memoria;
  • difficoltà nella sfera emotiva e sociale.

 

Diagnosi e trattamento di disprassia verbale

Risulta fondamentale fare una distinzione tra il disturbo specifico del linguaggio (es. disturbo fonologico) e la disprassia verbale.

Quello che cambia è la natura delle difficoltà: in quest’ultimo disturbo il paziente presenta una fragilità nella programmazione motoria e, per tale motivo, egli sa quello che vorrebbe dire, ma non riesce ad organizzare i movimenti di mandibola, labbra e lingua per poter produrre il messaggio verbale da comunicare.

Nel momento in cui una famiglia ha un dubbio sull’evoluzione del linguaggio del proprio bambino, è necessario e consigliabile rivolgersi al medico di riferimento.

In primo luogo, è bene parlarne con il pediatra, che saprà eventualmente indirizzare i genitori verso uno specialista per intraprendere un percorso valutativo.

L’iter diagnostico prevede una valutazione globale del funzionamento del bambino e viene effettuato attraverso vari test somministrati da:

  • un terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva (TNPEE);
  • un logopedista;
  • uno psicologo.

Questi specialisti indagheranno accuratamente i vari ambiti (motorio, cognitivo, linguistico e relazionale) per comprendere al meglio difficoltà e risorse del bambino. 

Una volta ultimata la valutazione, il neuropsichiatra farà la diagnosi finale e solo successivamente il paziente sarà indirizzato nell’intraprendere una terapia specifica, nella quale gli obiettivi principali saranno potenziare le capacità e le abilità del bambino, riducendo le difficoltà del disturbo, riducendo al minimo la ripercussione che si ha nella vita quotidiana.

La terapia verrà creata su misura, in quanto è fondamentale capire come risponde il paziente.

Esistono, ad oggi, vari approcci, tutti hanno l’obiettivo di correggere il suono alterato e sostituirlo con quello corretto, creando così un vocabolario in linea con l’età cronologica del bambino.

Per arrivare a ciò, è fondamentale lavorare su tutte le aree cognitive che sono alla base del linguaggio e della comunicazione.

Inoltre, bisogna tener presente eventuali patologie associate e l’interferenza che esse hanno sull’evoluzione globale del paziente.

Solitamente, se l’intervento è tempestivo e il trattamento di riabilitazione logopedica adeguato al bambino, si possono ottenere buoni risultati.

Risulta, quindi, fondamentale intervenire in tempi precoci per far sì che il bambino possa acquisire tutti i suoni in modo funzionale.

Alcuni degli interventi riabilitativi utilizzano tecniche di CAA, che permettono di veicolare un messaggio attraverso l’utilizzo di immagini e di simbologia grafica. 

Questo materiale può essere prodotto artigianalmente (fotografie, immagini da riviste, etc.) oppure può utilizzare sistemi o insiemi grafici già esistenti, come PCS (Pictogram Communication Symbols), Communication Folder, Picture Thi,PCI (Pictogram Ideogram Communication e i simboli bliss.

Attraverso software e sistemi informatici all’avanguardia, la tecnologia attuale ha fornito la possibilità di veicolare messaggi linguistici in modo più rapido ed efficace.

Essi consentono non solo la comunicazione, ma un vero e proprio supporto all’apprendimento in tutti i contesti.

Tali strumenti riabilitativi vengono utilizzati, dunque, anche al di fuori del contesto di terapia, permettendo la generalizzazione delle parole apprese e la comunicazione a 360°.