La distrofia dei cingoli (indicata anche come LGMD, che è l’acronimo per limb-girdle muscular dystrophy) è una malattia muscolare rara che coinvolge i muscoli dei cingoli pelvici e scapolari. 

È caratterizzata dalla degenerazione progressiva dei muscoli, che porta a debolezza e perdita di funzione. 

Questa condizione può manifestarsi in varie forme e gravità: da forme più gravi, che iniziano già in età infantile e progrediscono rapidamente, simili alla distrofia muscolare di Duchenne, oppure da forme più lievi, che iniziano più tardi e hanno una progressione più lenta, simili alla distrofia muscolare di Becker.

La malattia ha generalmente il suo esordio nel corso dell’infanzia, ma la sua epoca di insorgenza dipende dalla modalità di ereditarietà (ossia se la trasmissione ricade nel sottotipo autosomico recessivo o dominante).

Infatti, la distrofia muscolare dei cingoli comprende un ampio gruppo di patologie rare molto diverse tra loro, ma tutte accomunate dal coinvolgimento dei muscoli dei cingoli.

 

Cos’è la distrofia dei cingoli

La distrofia dei cingoli è un tipo di distrofia muscolare. Le distrofie muscolari sono delle patologie progressive ereditarie che derivano da mutazioni di uno o più geni responsabili della normale struttura e del funzionamento muscolare.

Nella distrofia dei cingoli le alterazioni genetiche colpiscono i muscoli dei cingoli pelvici e scapolari, ovvero quelle strutture che collegano rispettivamente gli arti superiori e inferiori allo scheletro assile. 

La nuova classificazione della distrofia muscolare descrive 29 sottotipi noti, suddivisi in due gruppi, in base alla differente modalità di trasmissione della malattia. 

In particolare, il primo gruppo è identificato dalla lettera D e comprende 5 forme con trasmissione autosomica dominante, mentre il secondo gruppo è identificato dalla lettera R e comprende 24 malattie a trasmissione autosomica recessiva.

Ciò significa che nel soggetto affetto ambedue le copie del gene hanno subìto mutazioni, mentre i genitori sono portatori di una sola copia di gene mutato e tipicamente non manifestano segni della malattia. 

La distrofia dei cingoli (come gruppo) è ritenuta la 4°malattia muscolare ereditaria più diffusa, e colpisce maschi e femmine in egual misura.

 

Quali sono i sintomi della distrofia muscolare dei cingoli 

I sintomi della distrofia muscolare dei cingoli si manifestano con debolezza e atrofia muscolare, soprattutto degli arti, con maggiore coinvolgimento della parte prossimale rispetto a quella distale.

I muscoli più colpiti sono quelli più vicini al corpo, ossia i muscoli prossimali, e specificamente i muscoli delle spalle, del tratto superiore delle braccia, dell’area pelvica e delle cosce.

La gravità e il quadro clinico della LGMD sono differenti tra i vari sottotipi ed i sintomi generalmente tendono a peggiorare col tempo, seppure in taluni casi possano restare a lungo di lieve entità.

L’età di insorgenza dipende dalle caratteristiche dell’ereditarietà: 

  • i casi autosomici dominanti possono presentarsi dalla prima infanzia fino all’età adulta;
  • i casi recessivi tendono a manifestarsi durante l’infanzia, principalmente coinvolgendo il cingolo pelvico.

Inizialmente, i pazienti presentano una progressiva e simmetrica debolezza muscolare, spesso accompagnata da riflessi tendinei diminuiti o assenti, con i muscoli della cintura pelvica o scapolare colpiti per primi.

Nella fase iniziale, il sintomo più comune è la debolezza alle anche e ai muscoli prossimali delle gambe. Con un’età di insorgenza che varia a seconda del tipo di trasmissione genetica, dove, per alcuni sottotipi, i sintomi possono estendersi anche al cuore, con cardiomiopatia dilatativa o ipertrofica e disritmie. 

Nello stadio avanzato della malattia, quando i muscoli dell’avambraccio sono coinvolti, tutti i sottotipi possono manifestare debolezza dei muscoli respiratori con ipoventilazione notturna.

Altri sintomi della distrofia dei cingoli, includono:

  • andatura anserina ossia a base allargata;
  • difficoltà a correre;
  • uso delle braccia per alzarsi dalla posizione accovacciata (arrampicata); 
  • il dolore muscolare durante l’esercizio;
  • l’ipertrofia dei muscoli deltoidi e dei quadricipiti;
  • l’atrofia muscolare che coinvolge i cingoli pelvici e/o le spalle. 

Di solito, i muscoli facciali non sono interessati o il loro coinvolgimento è minimo.

 

Come si effettua la diagnosi

La diagnosi di distrofia dei cingoli è confermata dalla biopsia muscolare, che evidenzia la presenza di distrofia muscolare, ma si basa anche su test genetici per determinare il tipo di distrofia muscolare.

 

Quali sono le terapie per la distrofia dei cingoli

Non esiste una cura definitiva per la Distrofia muscolare dei cingoli. Tuttavia, negli ultimi anni, la ricerca ha fatto grandi progressi nella comprensione delle malattie per elaborare nuovi tipi di trattamento.

Una volta avvenuta la diagnosi, la presa in carico è di tipo multidisciplinare, coinvolgendo diverse figure, tra le quali il neurologo, lo psicologo, il neuropsichiatra infantile, il nutrizionista, lo pneumologo e il cardiologo.

Ad oggi, il trattamento per la distrofia dei cingoli è di tipo palliativo- sintomatico e comprende:

  • la fisioterapia;
  • il controllo del peso per prevenire l’obesità;
  • l’uso di ausili per favorire la deambulazione;
  • la chirurgia per le complicanze ortopediche;
  • il monitoraggio della cardiomiopatia;
  • il supporto psicologico.

 

Riabilitazione nella distrofia dei cingoli

La riabilitazione fisioterapica svolge un ruolo fondamentale nel trattamento della Distrofia dei cingoli, mirando a:

  • mantenere e migliorare la funzionalità muscolare;
  • prevenire le retrazioni;
  • valutare l’uso di ausili (ortesi per arti inferiori, carrozzina, sedie e banchi specifici per ambienti lavorativi e scolastici);
  • ottimizzare l’indipendenza nel compimento delle attività quotidiane.

Inoltre, il supporto psicologico diventa essenziale sin dalla fase di diagnosi della malattia; accompagnando il paziente lungo tutto il percorso della patologia: attraverso le difficoltà crescenti nel movimento, l’eventuale transizione all’uso di una carrozzina, fino ai cambiamenti che possono verificarsi nel contesto lavorativo.

 

Dieta alimentare e distrofia dei cingoli

Le attuali linee guida nutrizionali per le persone con Distrofia muscolare forniscono consigli di base per prevenire e gestire la malnutrizione, così come i casi di sovrappeso e obesità. 

Il tipo di alimentazione diventa importante per due motivi:

  • contrastare la sarcopenia e la demineralizzazione ossea grazie all’assunzione di alimenti antinfiammatori e antiossidanti;
  • evitare l’eccessivo accumulo di grasso, il quale, per sua natura, può depositarsi tra le fibre muscolari, peggiorando la situazione patologica.

Eppure, nonostante le linee guida internazionali vadano a sottolineare l’importanza della nutrizione per la salute generale e la qualità della vita dei pazienti affetti da malattie neuromuscolari, al momento non esistono protocolli dietetici specifici per tali condizioni.

Tuttavia, numerosi studi scientifici hanno indicato che il Modello Alimentare Mediterraneo può essere efficace nel contrastare i meccanismi di stress ossidativo e infiammazione cronica. 

Un recente studio condotto a Padova, finanziato da Telethon, ha esaminato gli effetti di una dieta a basso contenuto proteico nella lotta contro la degenerazione muscolare.

Il regime alimentare proposto consiste in una ridotta assunzione di carne, mirando a limitare l’apporto di proteine e aminoacidi per promuovere la pulizia cellulare attraverso il controllo di un processo fisiologico noto come “autofagia”. 

I risultati dello studio suggeriscono che una dieta incentrata su alimenti antinfiammatori e antiossidanti, integrata con specifici aminoacidi come creatina e leucina, arricchita con vitamina D e calcio, e bilanciata sia in termini energetici che proteici, potrebbe non solo migliorare la qualità di vita dei pazienti, potenziando la forza e la resistenza muscolare, ma anche prevenire l’insorgere di rischi correlati come l’obesità e l’osteoporosi, derivanti sia dall’uso di terapie steroidee che dalla riduzione dell’attività fisica.