Le distrofie muscolari sono disturbi genetici (spesso ereditari) che riducono le capacità motorie e indeboliscono i muscoli dei soggetti colpiti; si tratta di patologie altamente invalidanti che tendono a peggiorare col passare del tempo.

Andiamo, dunque, a scoprire i vari tipi di distrofie, i sintomi specifici e le terapie più indicate per ciascuna.

 

Cos’è la distrofia muscolare

Le distrofie muscolari sono disturbi genetici che vanno ad indebolire i tessuti muscolari.

Si tratta di patologie progressive ed invalidanti in grado di mutare i geni, portando le proteine necessarie alla stabilità muscolare a diminuire e perdere le loro funzioni.

Data la natura degenerativa delle distrofie, col passare del tempo questa condizione può rendere problematico lo svolgimento delle più semplici attività quotidiane.

Esistono diversi tipi di distrofie e, di seguito, vediamo le più diffuse (andando a sviscerarne i sintomi).

 

Distrofia Muscolare di Duchenne

Il gene mutato che causa l’affezione è quello che, in un individuo normale, produce una proteina chiamata distrofina.

Il disturbo si manifesta tipicamente tra i 2 e i 3 anni di età, con sintomi come:

  • debolezza dei muscoli prossimali (solitamente inizia dagli arti inferiori);
  • deambulazione sulle punte con andatura anserina (a papera);
  • lordosi;
  • difficoltà nella corsa, nei salti, nel salire le scale e nell’alzarsi da terra;
  • cadute frequenti, spesso accompagnate da fratture di braccia o gambe.

In quasi tutti i soggetti si vanno a manifestare:

  • scoliosi;
  • retrazione degli arti in flessione.

Il disturbo porta ad una debolezza muscolare costante e progressiva, sviluppando anche una pseudoipertrofia fissa (sostituzione fibro-adiposa di alcuni gruppi muscolari ipertrofici) che colpisce maggiormente i polpacci.

La maggior parte dei pazienti ha bisogno di usare una carrozzina entro l’età di 12 anni.

Su un terzo dei pazienti entro i 14 anni (e in tutti i soggetti dopo i 18) si possono verificare conseguenze relative al coinvolgimento della muscolatura cardiaca, includendo:

  • cardiomiopatia dilatativa;
  • anomalie di conduzione;
  • aritmie.

Dal momento che i soggetti in questione non possono praticare attività fisica, il coinvolgimento cardiaco è asintomatico fino allo stato avanzato della distrofia.

Infine, è possibile riscontrare anche una lieve compromissione intellettiva non evolutiva che riguarda la funzione verbale.

 

Distrofia Muscolare di Becker

La distrofia muscolare di Becker rappresenta una variante meno severa rispetto a quella di Duchenne. Si tratta di una malattia legata al cromosoma X, trasmessa solo ai maschi ed al contrario della forma di Duchenne, la distrofina è presente, ma risulta strutturalmente anormale.

Di solito, i sintomi si manifestano nella seconda metà dell’infanzia e includono:

  • difficoltà nello svolgimento di attività sportive e nel camminare;
  • crampi muscolari durante l’esercizio fisico.

La capacità di camminare può persistere fino ai 15 anni e molti individui riescono a farlo anche in età adulta.

Con l’avanzare dell’età, i pazienti incontrano sempre più difficoltà nel correre, camminare velocemente, salire le scale e sollevare oggetti; tuttavia, a differenza della sindrome di Duchenne, l’utilizzo di una sedia a rotelle diventa necessario solo intorno ai 40-50 anni – anche se alcuni soggetti possono averne bisogno già a 15-20 anni.

In concomitanza con la distrofia di Becker possono verificarsi problemi cardiaci (cardiomiopatia dilatativa) e respiratori (insufficienza respiratoria), ma tali complicanze di solito non sono fatali come nella distrofia di Duchenne.

 

Distrofia Muscolare facio-scapolo-omerale

La distrofia muscolare facio-scapolo-omerale è la forma più comune di distrofia muscolare e, di solito, si manifesta prima dei 20 anni.

Questa condizione è caratterizzata da una progressiva debolezza dei muscoli facciali e del cingolo scapolare (ossa, muscoli e articolazioni che collegano gli arti superiori al tronco e ne permettono il movimento).

I primi sintomi si sviluppano durante l’infanzia e diventano evidenti con il passare dell’adolescenza; questi possono includere difficoltà a:

  • fischiare;
  • sorridere;
  • chiudere gli occhi;
  • alzare le braccia.

La progressione della malattia può variare significativamente da persona a persona: è infatti possibile non sviluppare disabilità e avere un’aspettativa di vita pari ad altri soggetti. In alcuni casi, però, diventa obbligatorio ricorrere ad una sedia a rotelle in età adulta.

Con il progressivo avanzamento del disturbo, possono sopraggiungere disturbi a:

  • braccia;
  • polpacci;
  • scapole;
  • parte superiore della schiena.

La forma pediatrica della malattia è caratterizzata da una disabilità grave e da un rapida progressione dei sintomi muscolari e non, come:

  • sordità neurosensoriale;
  • anomalie vascolari retiniche.

Questa distrofia può evolversi in maniera discontinua e interessare un solo lato del corpo.

La diagnosi della distrofia muscolare facio-scapolo-omerale, confermata dall’analisi del DNA, si basa su:

  • età di insorgenza;
  • storia familiare;
  • caratteristiche cliniche.

Inoltre, è importante monitorare regolarmente le anomalie vascolari retiniche al fine di prevenire la cecità.

Sebbene non esista una cura per questo tipo di distrofia muscolare, la fisioterapia può contribuire al mantenimento delle funzioni motorie. 

 

Distrofia Muscolare di Emery-Dreifuss

La distrofia muscolare di Emery-Dreifuss riguarda continue contratture dei muscoli situati in prossimità delle principali articolazioni del corpo (le sedi più colpite sono braccia, spalle, arti inferiori e collo).

Questa distrofia può essere ereditata attraverso tre modalità:

  • autosomica dominante, ovvero quando è sufficiente una sola anomalia nei geni ereditati dai genitori;
  • autosomica recessiva, quando entrambi i genitori sono portatori di una anomalia;
  • legata al cromosoma X, ovvero presente, appunto, nel cromosoma in questione.

L’incidenza complessiva della malattia non è stata ancora definita, ma occorre sottolineare che gli individui di sesso femminile possono essere portatori del cromosoma X senza manifestare sintomi clinici.

I sintomi della distrofia di Emery-Dreifuss possono essere:

  • debolezza;
  • atrofia muscolare;
  • alterazioni cardiache.

I primi due sintomi possono esordire in qualsiasi momento prima dei 20 anni e tendono a colpire principalmente i muscoli del braccio come il bicipite e il tricipite (quelli della gamba sono interessati meno frequentemente).

Un altro tratto distintivo della malattia, oltre alle contrazioni muscolari involontarie, è il coinvolgimento del cuore attraverso:

  • paralisi del sistema di conduzione cardiaca;
  • miocardiopatia;
  • aumentato rischio di morte improvvisa.

La diagnosi della distrofia di Emery-Dreifuss si basa su sintomi clinici, sull’età di insorgenza e sulla storia familiare, ma per confermare la diagnosi si può ricorrere a:

  • analisi del DNA (per individuare specifiche mutazioni genetiche);
  • biopsia muscolare;
  • elettromiografia.

Attualmente, non è disponibile una terapia specifica per la distrofia di Emery-Dreifuss, pertanto il trattamento si concentra principalmente sulla gestione dei sintomi e la prevenzione delle contrazioni muscolari. In situazioni specifiche, i pacemaker cardiaci possono rappresentare una soluzione vitale per i pazienti con anomalie nella conduzione cardiaca.

 

Distrofia dei Cingoli

La distrofia dei Cingoli è un insieme di condizioni muscolari che, all’esordio dei sintomi, causano un indebolimento dei muscoli del cingolo pelvico e del cingolo scapolare.

Anche in questo caso, l’ereditarietà è autosomica dominante o recessiva:

  • nel primo caso, la comparsa dei sintomi può variare dalla prima infanzia all’età adulta;
  • nel secondo caso, invece, la sintomatologia tende a presentarsi durante l’infanzia, con un coinvolgimento predominante della cintura pelvica.

Questo tipo di distrofia muscolare, solitamente, si manifesta attraverso una debolezza muscolare simmetrica e progressiva a livello prossimale (che può interessare il viso) e riflessi tendinei ridotti o assenti – i primi ad essere colpiti possono essere i muscoli della cintura pelvica o scapolare. 

Altri sintomi tipici possono essere:

  • dolore alla schiena persistente;
  • palpitazioni;
  • riduzione della massa muscolare;
  • irregolarità cardiache (come le aritmie).

Esattamente come per le altre distrofie, la diagnosi di questo disturbo si basa sull’età di insorgenza, sulle caratteristiche cliniche specifiche e sulla storia familiare: il test di conferma principale risulta essere l’analisi della mutazione del DNA dai leucociti del sangue periferico.

Altri esami utili possono essere:

  • esami istologici del tessuto muscolare;
  • immunocitochimica;
  • analisi Western blot (per analizzare e quantificare le proteine).

Secondo le linee guida dell’American Academy of Neurology, chi la ricevuto la diagnosi di distrofia muscolare dei cingoli può essere ad alto rischio di complicanze cardiache e insufficienza respiratori, pertanto i soggetti devono essere sottoposti a:

  • valutazione cardiaca, anche in assenza di sintomi;
  • test della funzionalità polmonare.

In generale, l’approccio più consigliato è quello multidisciplinare.

La distrofia dei cingoli può essere trattata andando a preservare la funzionalità muscolare e a prevenire le retrazioni (la riduzione della normale ampiezza di un’articolazione che può portare all’irrigidimento completo).

 

Distrofia muscolare: cura e terapia

Ad oggi non esiste una cura per la distrofia muscolare e i trattamenti esistenti sono principalmente mirati a gestirne i sintomi, rallentarne la progressione e migliorare la qualità della vita.

È sempre importante rivolgersi ad uno specialista, come un neurologo o un medico specializzato in malattie neuromuscolari, per valutare le opzioni di trattamento più appropriate in base al tipo specifico di distrofia.

Ecco alcune terapie di supporto:

  • approccio farmacologico: esistono alcuni farmaci che possono essere prescritti per alleviare i sintomi della distrofia e migliorare la funzionalità muscolare. Ad esempio, sempre sotto supervisione del medico, possono essere assunti prednisone, betametasone sodio fosfato, idrocortisone, desametasone e deflazacort;
  • terapia fisica e riabilitazione: la riabilitazione fisica è fondamentale per mantenere e migliorare la forza muscolare, la flessibilità e la mobilità. Gli esercizi di stretching, l’attività fisica mirata e la terapia occupazionale possono essere parte integrante del programma di riabilitazione;
  • supporto ortopedico: l’utilizzo di apparecchi ortopedici, come tutori o ausili per la deambulazione, può contribuire a migliorare la mobilità e l’indipendenza del paziente. Gli apparecchi ortopedici possono aiutare a stabilizzare le articolazioni, correggere la postura e ridurre il rischio di contratture muscolari;
  • assistenza respiratoria: alcuni pazienti con distrofie muscolari possono sviluppare insufficienza respiratoria. In questi casi, può essere necessario l’utilizzo di dispositivi di supporto respiratorio, come ventilatori o dispositivi di ventilazione notturna, per migliorare la respirazione e garantire un adeguato apporto di ossigeno.

Come visto in precedenza, le terapie differiscono in base alla tipologia di distrofia (e spesso richiedono un approccio multidisciplinare), ad esempio:

  • nella distrofia di Duchenne, per la cardiomiopatia si utilizzano betabloccanti e inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina. Il chirurgo ortopedico monitora la scoliosi e la fusione spinale, mentre lo pneumologo valuta la funzionalità respiratoria. L’endocrinologo, infine, gestisce l’osteoporosi e la soppressione surrenalica durante l’uso cronico di steroidi (anche la valutazione oftalmologica è necessaria se si forma la cataratta);
  • nella distrofia di Becker, invece, il trattamento è di supporto: raramente si usano corticosteroidi, ma si effettuano screening per la funzione respiratoria e il monitoraggio cardiaco. Quando si verifica una grave cardiomiopatia restrittiva, si può ricorrere al trapianto di cuore.

 

Per concludere, attualmente le speranze più fondate provengono dal tentativo di realizzare una terapia genica, e cioè di introdurre nell’organismo ammalato copie corrette (sane) di un gene difettoso.