Oggi siamo con Barbara Porcella, consulente ausili e docente che ci ha raccontato il suo percorso professionale, fornendo consigli utili sia per professionisti che per famiglie in merito alla Comunicazione Aumentativa Alternativa, di come essa differisca da contenuti resi accessibili con gli strumenti della CAA e, soprattutto approfondire a che punto sono i progetti di accessibilità comunicativa attualmente presenti sul territorio.

 

Ci può raccontare chi è Barbara Porcella e la sua esperienza professionale?

Come racconto spesso ai miei studenti molte volte mia nonna mi ha chiesto: “Ma tu che lavoro fai’” e altrettante volte io ho provato a spiegarglielo. Bene mia nonna è mancata che aveva circa 94 anni io poco meno di 50 e ancora non ero riuscita a spiegarglielo! Ho infatti sempre trovato piuttosto complesso raccontare la mia esperienza professionale. Ho una preparazione umanistica, avendo studiato all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Lettere e Filosofia con indirizzo artistico; quindi, l’idea che avevo quando ero molto più giovane era quella di fare il critico d’arte. Un giorno però mi sono imbattuta in maniera del tutto casuale nel mondo della disabilità, da quel giorno sono trascorsi 23 anni e sono ancora lì.

Nel 2000 ho iniziato a lavorare presso l’Ufficio H, il Centro Ausili della Comunità Piergiorgio ONLUS, come consulente ausili informatici e software didattico avendo competenze sia di didattica che di pedagogia. In quel momento però non solo ho scoperto veramente cosa fosse la disabilità ma ho immediatamente capito quanto sia ampio, complesso e variegato il mondo della disabilità.
Ho capito che approfondire tutto sarebbe stato impossibile e quindi con gli anni ho deciso di concentrarmi su tutte le forme di comunicazione alternativa al linguaggio parlato e scritto.

Ho iniziato studiando la Lingua dei Segni, poi il Braille e infine sono approdata al grande mondo della Comunicazione Aumentativa Alternativa, frequentando la scuola Benedetta D’Intino di Milano.
Inizialmente ho messo in pratica gli insegnamenti della scuola con gli adulti con malattie neurodegenerative e successivamente con i bambini.

Attualmente, oltre a continuare il mio lavoro di consulente ausili, ho diverse collaborazioni come docente in alcune Università, e mi interesso soprattutto di accessibilità (cognitiva) all’arte, alla cultura e all’informazione, motivo per cui è nata LiberoAccesso.

 

È fondatrice di LiberoAccesso. Ci può raccontare di più di questo progetto e nello specifico dell’iniziativa “Lo Strillone”?

LiberoAccesso è un’idea di Valentina Baraghini che con me collabora a molti progetti e che sempre con me cura “Argomenti”, una collana di libri in simboli, per la casa editrice Auxilia di Modena ed è un’idea nata alcuni anni fa. In origine doveva essere un’associazione e doveva occuparsi di accessibilità cognitiva. Successivamente si è trasformata in una società. Il tempo e le risorse, infatti, che impiegavamo per realizzare i nostri progetti era decisamente troppo ampio per poter essere “relegato” al puro volontariato.

Barbara Porcella

Attualmente con LiberoAccesso abbiamo in essere una serie di progetti che riguardano soprattutto siti artistici e musei della Regione del Veneto e della Regione Sicilia. Posso ricordare la realizzazione di alcuni testi ad alta accessibilità e in simboli per i setti siti Unesco della Sicilia e molto recentemente un progetto che ha come protagonista Pimpa realizzato in collaborazione con la Fondazione Radio Magica e Cepell. Partendo da alcuni fumetti donati dal maestro Altan li abbiamo trasformati in cartoni animati in cui Pimpa “parla” con i simboli.

Una delle tante attività di LiberoAccesso è stata “Lo Strillone” un mensile online che è durato circa un anno a cavallo tra il 2020 e il 2021 ad altissima accessibilità e leggibilità. Rifacendosi a quelli che sono i parametri del facile da leggere e della scrittura controllata di Tullio De Mauro e della dottoressa Piemontese; sulla falsariga del loro giornale “Due parole” abbiamo creato un giornale destinato ai bambini degli ultimi anni delle elementari e a ragazzi delle medie.

“Lo Strillone” anche graficamente era a tutti gli effetti un giornale in cui si trattavano argomenti di attualità; era in formato e-pub, gratuito e c’era la possibilità di proiettarlo da parte degli insegnanti sulla Lim. Tutti gli articoli erano “doppi” perché formattati e realizzati graficamente anche per ragazzi dislessici. Ogni articolo era letto con voce umana, e tutti gli articoli erano “trasposti” in simboli.

Tra gli articoli c’era sempre un articolo che riguardava una notizia bella e una notizia sugli animali per poter andare incontro anche ai lettori più piccoli. A corredo del giornale venivano dati su richiesta materiali didattici creati su più livelli destinati agli insegnanti.

L’esperimento ha avuto decisamente un bel successo, abbiamo visto come in realtà il poter leggere notizie di attualità diventava un momento destinato a tutti. Nessuno veniva escluso e in modo naturale si creava una “opportunità di partecipazione”.

La cosa più interessante però è stata constatare come un’idea pensata inizialmente per “i lettori dimenticati” (E. Piemontese) cioè i lettori più fragili, fosse realmente utile per tutti!

 

Che differenza c’è tra CAA e un’informazione accessibile?

La differenza tra informazione accessibile e CAA per quanto mi riguarda è enorme.
La Comunicazione Aumentativa Alternativa è l’insieme di conoscenze, tecniche, strategie e tecnologie che consentono a coloro che non parlano di poter comunicare. L’informazione accessibile con i simboli della CAA “sfrutta” uno degli strumenti della CAA, in questo caso i simboli, affinché un contenuto divenga accessibile.

La CAA non è una lingua pertanto sono la prima io stessa a non parlare di libri in CAA ma di libri scritti con i simboli della CAA, a non parlare di traduzione ma di trasposizione dei testi in simboli.

 

Secondo la sua opinione, quanto sono accessibili oggi i progetti in CAA per famiglie e pazienti che ne hanno bisogno?

Il “progetto di CAA” è un progetto a lungo termine soprattutto per i bambini, spesso questa lunghezza non è sostenibile e le famiglie, magari inizialmente ben seguite dalle equipe, restano, in un secondo momento completamente sole. Questo implica che si trovino ad affrontare criticità enormi come: reperire risorse, professionisti, ma soprattutto far evolvere il progetto stesso che inevitabilmente segue l’evolversi della persona. Credo che in Italia attualmente sia questa la criticità maggiore.

Sempre più spesso, infatti, vedo bambini che in un determinato arco temporale della loro vita erano diventati abili comunicatori con strumenti “poveri come le tabelle” ma che successivamente, per una serie di vicissitudini (cambio ciclo scolastico, cambio operatori sanitari ecce cc) si sono ritrovati completamente senza strumenti e senza punti di riferimento.

 

Un suo consiglio per coloro che approcciano per la prima volta la CAA (famiglie, insegnanti) come un supporto nella comunicazione per persone disabili?

L’unico consiglio che voglio dare a chi si sta per avvicinare alla CAA è quello di affidarsi a dei professionisti seri, preparati e formati nel campo.

Sempre più spesso si vedono fiorire corsi di CAA che creano “esperti” ma da questi corsi si esce con l’idea che la CAA siano i simboli, in questo tipo di corsi non si parla mai di “progetto di CAA”, come altrettanto spesso si confonde la didattica con le immagini con la CAA stessa.

Attualmente c’è molta confusione: molti si improvvisano operatori esperti avendo magari fatto un corso di 20 ore così come è opinione comune e diffusa che il progetto di CAA possa essere delegato solo alla scuola.

Iniziare un progetto di C.A.A. richiede un impegno importante, da parte della famiglia, dei professionisti e dei partner comunicativi, quindi di tutti coloro che girano attorno alla persona con difficoltà comunicative. Solo in questo modo potremmo dire quello che ha detto una mamma su suo figlio “Se prima parlavo di mio figlio, ora parlo con mio figlio” (“Le parole che non vengono ascoltate di Aurelia Rivarola”).